Cosa resta quando non devo dimostrare nulla?
"Se dovessi rivivere per sempre la stessa giornata, come vorrei che fosse?" questa è la domanda che più mi ha colpita in questi giorni. Una domanda letta in un post di un imprenditore e nomade digitale (Dario Vignali) in cui smontava l'idealizzazione che viene fatta ultimamente sulla vita di chi lavora da remoto, facendo riflettere sulla sacralità della normalità, l'importanza di saper scegliere, coltivando posti, amicizie e passioni. In un mondo in cui tutto è diventato facilmente accessibile, come prendere un volo per l'Australia o trasferirsi a Bali lavorando online; la possibilità di fermarsi e di scegliere una vita "normale" viene visto come qualcosa di sbagliato. Parlo da ragazza che dal primo momento che ha potuto ha fatto la valigia ed è partita, e tuttora sta cercando un suo posto nel mondo senza avere una meta precisa, ma è questa la vera soluzione? Forse partire non è sbagliato, ma è importante sottolineare il come. Con che testa e con che scopo una persona lascia il proprio paese? Si viaggia per necessità di scappare, per ritrovarsi, conoscersi, mettersi in gioco o solo per mostrare alla gente che sono in posti belli e sto vivendo la vita che tutti vorrebbero? L'importante in un viaggio, è avere sempre una direzione, non perdersi tra le mille possibilità e stimoli ma saper sempre stare sulla propria strada.
Sono Alice, ho 21 anni e, come molti di voi sanno, insegno yoga da qualche mese. Mi pongo queste domande da quando sono arrivata a Barcellona con il mio ragazzo, per poter inseguire il mio progetto: condividere con gli altri ciò che ho appreso nella scuola di yoga a Bali, diffondere uno stile di vita sano e sereno attraverso il movimento, la nutrizione e il viaggio. Eppure, dopo aver aperto un account social, inziato ad organizzare classi di yoga in spiaggia e conosciuto varie insegnanti, qualcosa dentro di me ha iniziato a spegnersi. Non c'era più la voglia di praticare sul tappettino per me stessa, nella mia stanza, anzi era diventata un'ansia da prestazione, dovevo sempre pensare al prossimo post da fare, gli eventi da organizzare ed è diventato un paragone continuo con le storie delle altre ragazze che insegnano yoga: lei ha più follower, lei ha già tanti studenti, lei è più flessibile, lei ha fatto più formazioni e così via. Numeri, numeri e ancora numeri.
Proprio in una di queste giornate, in cui ero in preda al panico perché non riuscivo a trovare uno studio di yoga che mi assumesse e scrollavo la pagina di Instagram piena di video su allenamenti intensivi di yoga, scuole prestigiose in India, corpi scolpiti e leggins all'ultima moda, leggo il post di Dario. L'imprenditore digitale sostiene che il vero problema della nostra società non è la mancanza di possibilità, ma l'abbondanza di informazioni che ogni giorno ci bombardano, portandoci a dubitare di noi stessi, del nostro percorso e spesso anche del nostro lavoro che inizialmente amavamo. Purtroppo infatti, spesso succede che anche quando pensi di aver trovato la strada giusta vieni facilmente reindirizzato da quello che vedi attraverso uno schermo. Assurdo no? quanto la mente umana sia diventata facilmente influenzabile. Così rimetti in dubbio tutte le tue scelte e cadi nella trappola del volere sempre di più, un desiderio infinito, inappagabile, che spesso diventa tossico. Viviamo in una rincorsa continua per un qualcosa che non sappiamo nenache noi.
Faccio l'esempio del mio percorso, ma potrei farne altri mille. Ormai sembra che senza social non si vada da nessuna parte. Non basta la passione e l'impegno, servono titoli, viaggi, esperienze, post, immagini belle, verticali e spaccate per poter essere qualcuno. In un mondo in cui lo yoga nasce come disciplina per poter praticare lo stare nel momento presente e nel rallentare, anche questa pratica sta diventando uno strumento di paragone e rincorsa continua. Basti pensare che nello yoga la posizione più importante e difficile è proprio quella del loto: la posizione seduta, associata alla meditazione, concentrazione e ricerca interiore. E allora perché non siamo delle vere insegnanti se non sappiamo fare posizioni contorte? Perché c'è sempre questa fame inappagabile quando basterebbe impararare a stare seduti per poter essere bravi insegnanti?
Avere pazienza e chiedersi se ciò che facciamo è per noi o per dimostrare qualcosa a qualcuno, basterebbe per non farci sentire sbagliati davanti a tanti stimoli. Spegnere il telefono e credere in noi stessi, senza distrazioni o confronti placherebbe quella voglia sfrenata di scappare sempre da qualcosa. Celebrare i nostri piccoli progressi perché sono pur sempre grandi passi rispetto al non agire. Ricordarci che per avere grandi risultati bisogna sempre passare attraverso la fatica e il sacrificio, perché a volte i social fanno pensare che sia tutto facilmente accessibile: soldi, donne, viaggi... eppure, c'è chi in camera sua, lavora sodo ogni giorno, senza doverlo dimostrare a nessuno, ma solo a se stesso.
Forse, anziché bramare sempre alla fuga continua, al lavoro dinamico, alla posizione di yoga più difficile, bisognerebbe focalizzarsi sul piccolo miglioramento, sul rendere sacra la nostra normalità, creando una giornata adatta a noi e a nessun altro, uno spazio e una routine che rivivremmo ogni giorno, proprio perché creato da noi, con le nostre fatiche, i nostri sogni e i nostri piccoli ma grandi traguardi.
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